Calma. Tremo. La punta delle dita è rigata dall’acqua scrosciante che si è riversata sopra. Non sento più nulla. Silenzio. Vuoto. Mi allungo, mi fermo. Immobile. Il coltello è proprio davanti a me. Mi sento impotente. Paralizzata. I miei occhi chiedono pietà. Le pupille che mi guardano mi osservano come fossi pietra. Non sanno che qui dietro c’è un anima. Tante volte suo nipote mi ha coccolata, mi ha chiamata la sua Pita preferita; non è stato abbastanza. Adesso è la mia ora. Chissà perché mi attacco così tanto ai ricordi? Un sentimento passato non può che peggiorare le reazioni presenti. Più si è amato, più l’odio è forte. Più è stato veloce il patto d’amicizia, più è rapido l’arrivo dell’indifferenza. Forse per questo io mi sento ancora attaccata a quel bambino, che ormai non mi guarda più. Ho allontanato la sua carezza così tante volte per paura che mi avrebbe tirato il collo. Mi dicevo: infine sono umani, piccoli o grandi, è la stessa natura. E invece lui non voleva che rassicurarmi, farmi una carezza, proteggermi mentre mi curavo delle mie uova.
Ancora una volta ci tento. La placca in legno sotto di me. Fredda, ruvida. Sono nuda, spogliata di ogni abito, di ogni difesa. Vorrei scappare. Non ho forze. Ricordo ancora le urla: lo zio Ernie correva per il giardino. Decapitato. Mi sono sempre chiesta se quella fosse per forza la fine. Gli ultimi passi prima del nulla, o l’ultima corsa verso il treno che avrebbe portato la sua anima in un posto migliore.
Si dice che quando ce ne andiamo da qui, la nostra anima si trasferisce in una splendida fattoria, dove c’è mais in abbondanza per tutti, e non si vede un impronta di contadino o di volpe che sia. In quella fattoria non esistono predatori, solo noi. E siamo libere di deporre e covare quando e come vogliamo. Non dobbiamo più nascondere le nostre uova.
E mentre mi avvicino a quella realtà vedo riflesso il sole al tramonto sul coltello affilato.
È forse l’ultima cosa che vedrò? Che dolce visione, che amaro distacco.
Nella fattoria dove andrò, vorrei che ogni gallina avesse il suo piccolo amico umano e le lame non fossero altro che raggi di luce al tramonto.
Brrr brivido ma 3 molto bello questo racconto
Molto speciale ciò che hai scritto