Una sensazione melmosa. Grasso d’anatra sulla mia pelle. Provo a staccarlo. S’appiccica alle mani. Voglio uscire di qua. Urlo. Grido. I polmoni si svuotano. Attendo con ansia che qualcuno venga a salvarmi. Nessuno passa. È la valle della morte. È deserto. È vuoto.
Passa un giorno, un anno, dieci. Poi sono vecchia. Non ho attraversato il deserto, non ho meditato nel silenzio di un nulla. Non ho conosciuto la morte. Ho solo cercato di togliermi questa melma di dosso. E più ci provavo e più stava là.
Per ogni roccia su cui mi sono strusciata, grani di minerali su me. Ho provato a rotolarmi nella sabbia, ad accendere un fuoco e sciogliere questo fango nero, a bagnarmi sotto le acque di una cascata. E più l’acqua si attaccava, più era pesante; il fuoco mi bruciava la pelle, ma il limo su di me rimaneva attaccato là, senza farmi respirare. La sabbia m’irritava.
Ho camminato lunghe distanze per potermi togliere quella buccia collosa. Niente; non funzionava. Ossessionavo. Non ho visto una notte le stelle, annusato i profumi d’estate, pianto la fame, lamentato un dolore. Tutto ciò che volevo era vivere e, per quella viscosa corteccia, ho perso tutto ciò che la vita è davvero.
Mi piace molto questo racconto. Mi parla del nostro modo di vivere e della paura di non riuscire a vivere pienamente