L’ultima

È passato tanto tempo da quando, leggendo La Coscienza di Zeno, ho avuto la sensazione che lo Svevo parlasse a me. Proprio a me parlava, ma io non ero ancora all’ultima sigaretta, ero appena alle prime. Eppure, sentivo che si stava rivolgendo alla mia anima, al mio essere, che, nascosto dietro una sigaretta e un sorriso, bramava che ogni cosa finita si trasfigurasse in un mondo al di là di questo. Desideravo ardentemente possedere il finito, quanti più finiti possibili, in realtà, credendo che così sarei divenuta infinito.

L’adolescenza mi ha regalato la capacità di astrarre a un tal punto me stessa e il mio pensiero che, alla fine, non trovai più la percezione della natura, degli esseri, della realtà. Ero forse diventata un trascendentale? O avevo provato a esserlo per non soffrire le noie di questa società, che con gli adolescenti ha ben poca pazienza. Sfruttavo tutto il concetto di vizio a mio favore. Nel farlo, non riconoscevo la debolezza che mi portava a cercare un’identità nei gesti ripetuti e nella ricerca di una morte lenta. Ho spesso raccontato, a me stessa e agli altri, di fumare per il gusto, per abitudine, per fuggire dalla realtà per cinque minuti, per assomigliare a mio padre.

Oggi cerco di smettere. Ogni volta che finisco una sigaretta penso che in fondo non mi serviva fumarla. Ogni volta, poi, passate le poche ore che resisto, ne cerco assiduamente una in più. Ossessiono finché non l’ho accesa. Faccio il primo tiro. Poi penso “che stupida”. La finisco perché ormai tanto vale che sia questa l’ultima. E tutto ricomincia da capo. Finisco il pacchetto. I miei occhi rapidi si muovono come in un sogno: fase REM. Cercano una grande insegna luminosa o opaca con sopra una grossa T. Se non la trovo altri pensieri torbidi attraversano il mio conscio. Le voci urlano. Le ammutolisco. Alla fine sono in pieno controllo di me. Poi eccolo. Lo vedo. Ci penso. Lo passo. Tiro un sospiro e, subito, quella vocina nella mente mi dice: e se poi non ne trovi un altro quando ti serve? Allora mi giro.

Pochi secondi dopo: “Buongiorno, un pacchetto di Winston Blu, grazie.”

Ecco come non smetto.

Pensavo, quand’ero più giovane, che Zeno esagerasse, pensavo che il suo problema fosse la forza di volontà, che fosse il sociale, che fossero gli altri. Come ci vedono gli altri d’altronde è una delle sfaccettature che diventano realmente parte di noi. Tant’è che, quando interrogati sulla nostra natura secondo loro, rispondono: “secondo me sei una persona dolce/sicura/allegra”, il nostro modo d’essere accentua quelle caratteristiche, fino a renderci irriconoscibili anche agli occhi di chi le aveva espresse. A oggi, credo che il motivo per cui è così difficile smettere di fumare sia l’accettazione di una morte fuori controllo, e quindi anche di una vita fuori controllo. Se fumo, lentamente muoio. Se non fumo, lentamente muoio. Nel primo caso metto io mano a quella storia, non solo allo svolgimento, ma anche al finale. Nel secondo la mano non è la mia. Non importa di chi sia, dipende dalle credenze; in ogni caso non sono più io a scegliere. Seguo questo flusso, proprio come Zeno, e mi chiedo: ma allora è per tutto così?

Imparo che tutto ciò che mi circonda cambia secondo la mia percezione; quindi, adesso quel tutto è guidato dal voler controllare la morte. Non la vita ma la sua fine, per come la conosciamo.

Guardo in giro e mi rendo conto che la società e gli individui allo stesso modo vivono secondo questo principio. L’autodistruzione della razza umana, la creazione di luoghi come Las Vegas, la produzione di sostanze tossiche che ogni persona non vede l’ora di ingerire. Ogni singola azione ha come fine la decisione della propria morte, e non in senso esistenzialista. Mi guardo intorno di notte e improvvisamente mi pare ovvio che lo stesso universo funzioni con questo metodo. È forse lo spazio dotato di una coscienza di finitudine e di una tendenza incolmabile all’infinito?

Metto una mano nella borsa. Ravano freneticamente. Trovo. Appoggio il filtro arancione sulle labbra leggermente bagnate poco prima. Accendo il fuoco e faccio il mio primo tiro.

Il fumo esce piano, controllato, si libra nell’aria secondo la forza e la direzione che gli ho dato.

Svanisce.

Dopo questa smetto.

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