Come lenzuola stese in primavera, le pagine del mio libro non hanno alcun segno. Sono state lavate di cenere, ma il nero e il grigio non hanno attecchito. Parole vi sono scivolate sopra: bambini che si fanno cullare nell’amaca pulita che profuma di iris e lavanda. Genitori che dondolano quelle lenzuola. Le stavano piegando, avevano fretta. Ognuno voleva tornare alla propria occupazione. Poi Timmi è arrivato e con voce assonnata, cercando di nascondere uno sbadiglio ha chiesto: “potete dondolarmi qui dentro?”
Come dirgli di no?
Allora ecco che inizia la danza. Dai quattro lembi, la prima piega. Poi nuovamente una seconda. Alla terza Timmi sale su. Ha appena due anni, è leggero, sorride. il lenzuolo viene steso sul marmo che copre la sala. Il bambino si stende sopra, come un soldatino, di quelli con cui gioca sua sorella la sera. Ognuno da un lato, quattro mani tirano su gli angoli del lenzuolo. Timmi lancia un urlo di gioia. Per poco la stoffa non scivola dalle mani coperte d’unguenti. Scalcia, finché non viene ripreso. Poi si rimette in riga e si prepara a godere di un momento di gioia controllata, di divertimento confinato, di felicità regolata. Questo dev’essere il gioco.
Dalla tasca posteriore dei pantaloncini di Timmi esce un pastello blu. Colora il lenzuolo, ma i genitori ancora non lo sanno. Quindi non roviniamogli il momento. I suoi occhi verdi, smisurati rispetto al piccolo viso tondo e paffuto, sono quasi del tutto coperti da pupille dilatate per l’entusiasmo e la cioccolata che ha mangiato poco prima. Con le piccole mani si appende ai lati del lenzuolo, l’adrenalina lo fagocita, al contempo lo riempie. Ride forte e di nuovo gli dicono che deve ridere in silenzio, la sorella più piccola dorme. Allora sistema la cravatta che solo idealmente ha al collo e si rimette composto. Nel frattempo, il medio e l’indice destri hanno macchiato il lenzuolo bianco. I genitori sono stanchi del gioco. Depongono la giostra di stoffa sul pavimento e lo lasciano scendere. A breve scopriranno i segni sul lenzuolo appena asciugato.
Prima delle urla usciamo dalla stanza, usciamo dalla metafora. Il foglio bianco ha ora un segno azzurro in pastello e uno marrone del cioccolato che io stesso ho mangiato. Non è più bianco, ma è come quel lenzuolo di tanto tempo fa.
Potrei scrivere di me e di quelle volte in cui i miei mi facevano giocare, in silenzio, avvolto da un lenzuolo.
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