Giace al suolo immobile. L’aria fresca sul pelo bianco. Alza gli occhi al padrone; non ha mai capito perché lo chiamassero così. Per lei è solo il suo migliore amico, nulla di più. Oggi l’ha portata al parco. Fuori faceva un gran caldo; è da tanto che non passano in quel posto dove le danno una bella rinfrescata, ma sa che sarà presto.
Sono usciti di casa quella mattina, loro due. Quando il suo amico, a cui ancora non ha dato un nome, le ha fatto vedere il collare, lei ha capito al volo. Ha iniziato a scodinzolare. Sapeva che sarebbero usciti, ma ancora non era sicura se sarebbe stata un’uscita breve o una di quelle lunghe. Quando sono fuori non è sicura di capire la differenza, sono solo i momenti in cui è a casa, senza di lui, quando le manca tanto da toglierle il fiato, che pensa a quanto vorrebbe passarci una giornata intera insieme.
Il suo giorno preferito è la domenica. Quel giorno, quasi sempre vanno al parco. Là, tra l’erba alta e le foglie di alberi divenute rossastre e cadute a terra, si rotola, giocano a palla e qualche volta fanno amicizia con altri cani. È consapevole di essere un cane. Non ha mai capito perché lei e gli altri come lei stanno al guinzaglio. Ha visto qualche volta dei gatti con il collare portati in giro dai loro amici, una volta addirittura un furetto, ma mai un umano tenuto con un laccio. Pensa che sarebbe divertente. Poi si chiede perché l’ha pensato: non sarebbe forse normale? Ogni migliore amico, un giorno o l’altro, deve guidare e prendersi cura dell’altra. Non può essere un’amicizia a senso unico.
Il motivo per cui trovava quest’immagine divertente è triste: un umano tiene al guinzaglio il proprio cane per dimostrare la sua superiorità. Non ha certo bisogno di farsi vedere con il cane, questa dimostrazione è per gli altri umani. Anche il suo amico è così; per quanto gli voglia bene, non può negare di averlo visto giocare senza anima, senza entusiasmo con lei, quando sono da soli. Almeno così è la maggior parte delle volte. Quando ci sono altri umani intorno, lui diventa subito il migliore amico del mondo, si agita, si emoziona a un suo recupero e la riempie di coccole e belle parole.
Oggi è una di quelle giornate al parco. È una giornata di sole. Di solito le piace uscire quando c’è il cielo azzurro, con qualche nuvola di passaggio che le dà un sollievo momentaneo dalla calura dei primi giorni d’autunno. Oggi invece non si respira. Così se ne sta sdraiata là sull’erba fresca e ancora un po’ bagnata dalla notte di pioggia. L’acqua ha portato afa e il caldo che sembrava aver preso la prima uscita, ora sembra si sia solo fermato un attimo sulla zona di sosta, per poi ripartire più veloce di prima.
Tutto questo le ricorda il giorno in cui era con i suoi vecchi amici, quelli che le hanno “provocato la sindrome dell’abbandono” così aveva detto l’addetto alla pulizia della sua gabbia nel rifugio, dove aveva vissuto per un po’. Crede che in fondo il problema sia sempre quello: non sa definire il tempo che passa. Quando è sola il tempo si stira all’infinito. Quando è con lui, l’amico, il tempo va troppo veloce. Prima, con gli altri amici, l’una e l’altra occasione davano la stessa sensazione. Viveva nel timore di vederli, ma sapeva che in fondo avevano qualcosa nel cuore che la teneva là, stretta a loro. Qualche volta si dimenticavano di lei per la giornata intera. Poi entravano in casa. Lai saltava di gioia. Più di una volta, la sua vescica le aveva fatto qualche scherzetto. Così, finiva presto la felicità. I suoi padroni (non voleva pensarli come amici, in quelle occasioni) la sgridavano, le urlavano addosso, la chiudevano nella stanza buia. Poi li sentiva discutere dal divano: “Non si può andare avanti così, Ingrid”; “Non voglio passare il mio tempo a pulire pipì di cane”. Il giorno del sole che batteva sull’autostrada come un badile sulla terra che copre i morti, ricorda che l’avevano ingannata. “Andiamo al mare oggi”. Non era sicura che l’avessero detto a lei, forse loro erano andati davvero.
Ancora distesa sul verde, alza gli occhi al suo amico. Ha paura che se ne vada se ogni tanto lei non lo guarda. È arrivata una nuova umana vicino a lui. Lei sa cosa fare. A fatica si alza, s’intrufola tra le gambe del suo amico e recupera la palla. La porge con un po’ di bava annessa tra lui e la nuova arrivata. Spera che la prenda senza far storie. D’altronde la sua bocca è molto più pulita delle loro mani. Dovrebbe essere lei a fare la schizzinosa. La donna si piega su di lei, prende la palla, le da una carezza sulla testa. Le lancia la palla lontana.
Lei corre più veloce che può; girata nell’altra direzione, non può sapere se stanno scappando via. Se invece non recupera la palla, magari la abbandonano perché con lei si annoiano. Allora, con un vento umido e caldo tra i peli del muso, spicca un salto e prende la palla al suo secondo rimbalzo. Si gira per riportarla. I due umani la guardano sorridenti. Può sentire che stanno scodinzolando anche loro. Le piace questa nuova amica. La chiamerà Palla, così si ricorderà sempre come si sono conosciute.