Sei pronta? Ti chiedo. Mi dici di sì. Il metatarso tocca il fango. Ridi. La terra sotto il tuo piede, s’infila tra le dita, ti sporca. Non t’interessa. Il piede non affonda. Il tuo corpo è così leggero qui dentro che non lasci una prepotente impronta, ma un lieve scalino che sfuma il ricordo di un campo prima intonso. Correvi, ora cammini leggera, hai gattonato; volevi sentire in modo più vivido la terra. Sulle mani come sui piedi. Assorbi la percezione dei verdi fili d’erba, umidi, forse bagnati dalla rugiada che si è formata stanotte. Non ti accontenti, non basta questo poco contatto. Ti stendi. Allarghi le braccia, le gambe, e inizi a volare. Nuoti in questa melma. Un angelo. Ora tutto il tuo corpo può sentire di cos’è fatta la mia anima. Rotoli, cosicché ogni sensazione passi per ogni punto egualmente. Non vuoi fare un torto a te, non vuoi farlo a me. Imprimi come su pasta fresca, la tua forma. La luce che filtra dalle foglie che ombreggiano il suolo è oro. Una pioggia, lava che cola. Illumina ogni cosa. Illumina te. Sento la tua felicità quando ti raggiunge, ti scalda. Poi però non ti basta, se la mia anima ti tocca su un lato, non tocca l’altro: è ossessione, compulsione. Tutto il tuo corpo deve percepire allo stesso modo, come quando t’immergi sott’acqua. Allora t’immergi nelle sabbie mobili che inglobano ogni piccolo ramo, ogni forma vivente. Ti lasci andare. Tutto intorno a te ora è fango e vermi, e tu senti di appartenerci. Hai di nuovo una casa; da tempo ti era mancata. Mia cara, non dobbiamo essere morti per trovare la pace.